giovedì 31 dicembre 2020

Nella terza settimana di primavera del 2020, in una giornata in cui il sole sembrava voler decidersi a far germogliare anche i fiori più indecisi, all’incirca verso l’ora di pranzo, in un giardino sistemato con meticolosità e cura da mani esperte, in cui spiccavano due filari di ulivi, messi a dimora in quel terreno nonostante il clima di quella zona lacustre non lesinasse certo inverni freddi e umidi, comparve, risoluto ma placido, con quel tipico piglio del combattente mentre fissa il luogo della battaglia, immobile, con il bavero dell’uniforme che garrisce al vento e l’espressione serena che il nemico talvolta ha la sventura di scambiare per timidezza o ritrosia, un soggetto.
Il fatto che il soggetto compaia dopo centoundici parole non è un artificio retorico tipico degli incipit delle grandi narrazioni bensì un bieco tentativo di alterare la vostra respirazione per procurarvi un principio di ipossia.
Scusate, niente di personale, era solo un esperimento.

Io sto sgranocchiando Zwieback Hug senza zucchero e sorseggiando del tè earl gray mentre, con un comitato di ufi in visita pastorale, disquisiamo del futuro del pianeta (pianeterà), e della possibilità per gli esseri umani di resistere alle basse temperature e agli inverni nevosi ibridandosi con i salmoni.
Tutto questo mentre un coro di nani da giardino sta cantando in sottofondo “siamo andati alla caccia del leon” e io intrattengo gli ufi con l’esegesi del testo “singing ya ya yuppi yuppi ya ya”, a cui gli ufi si dimostrano particolarmente interessati. 
Non posso del tutto dargli torto: la voce è uno strumento a corde particolarmente affascinante e il pieno controllo del diaframma richiede un’abilità che si raggiunge solo dopo molti mesi di allenamento e pratica. Sono anche particolarmente meravigliati dalla pronuncia di Gewürztraminer e Feldschlösschen, ma non è questo il punto.
Il punto è che la quasi totale popolazione di una specie ottimisticamente denominata “sapiens” pensa che il cambio di una cifra nel conteggio dei giri che il pianeta compie intorno alla sua stella di riferimento, contati a partire da un momento pressoché casuale, possa cambiare in meglio i loro destini, e io non so come spiegare questa cosa agli ufi senza che loro legittimamente dispongano il più grande TSO collettivo della storia della galassia. 

martedì 8 dicembre 2020

immagino saprete che sono abbastanza contrario a questa cosa degli anni, così come è organizzata.
sono convinto che l'anno dovrebbe iniziare quando iniziano tutte le cose sensate, ossia in primavera, dovrebbe avere dei nomi divertenti e non dei numeri progressivi che partono da un evento a caso, e dovrebbe essere diviso in decimane da sei giorni lavorativi e quattro festivi. 
anche questa cosa dell’anno bisestile mi lascia piuttosto perplesso, io farei che ogni 20 anni, recuperiamo 5 giorni al solstizio d’estate, li chiamiamo “il giubileo dei giorni che non esistono” e ognuno li usa come meglio crede, tanto non esistono.

in ogni caso questo 2020 sarà ricordato come l’anno in cui ho avuto più confidenza con le cassiere del supermercato che con i miei amici.
questo perché, in effetti, da febbraio sono uscito di casa solo per andare nei supermercati, che non sarà tutta questa vita sociale, ma insomma. 
un paio di volte a settimana prendo l’auto, guido fino a un altro comune (nel mio non esistono negozi), e faccio la spesa.
ho iniziato a fare la spesa già da piccolo, è una cosa che faccio praticamente da sempre e, se fatta nella maniera giusta (ossia da soli, con il giusto ordine mentale in testa e con un tempo libero sufficiente), può anche essere rilassante e chiarificante.
fare la spesa è un’attività altamente filosofica, non solo perché si può avere un approccio analitico o sintetico, le corsie sono organizzate per argomento, o perché, alla fine, der mensch ist, was er isst; ma anche perché di ogni prodotto bisogna tener conto di sostanza, qualità, quantità e relazione (fra di loro e con il prezzo), e spero non vi sia sfuggito che sono le prime quattro categorie aristoteliche.
e non si tratta solo di logica e ontologia (ossia il nostro modo di ordinare il mondo), ma anche di questioni più pratiche a proposito dell’esistenza umana.

quando è stata l’ultima volta che avete cambiato dentifricio?
io lo faccio spesso, cerco i sapori più improbabili, tipo genziana e tarassaco, melanzana, aloe e curry, e in genere ne prendo uno che abbia il sapore più distante possibile da quello che sto usando.
il migliore in assoluto per me è un dentifricio di cui non farò il nome per ovvi motivi commerciali, ma che per comodità potremmo chiamare parodontax, un nome che sta a metà strada tra un farmaco, un personaggio dei fumetti e una tassa governativa. 
il parodontax (nome di fantasia) ha il gusto di fango misto a bicarbonato di sodio, il cui sapore, per semplificare, ricorda alla lontana la liquirizia salata marinata nel petrus boonekamp (ma senza alcol, altrimenti potrebbe ricordare l’opal, un liquore islandese che sa di, beh, liquirizia salata marinata nel petrus boonekamp). il gusto fango, invece, non ve lo devo spiegare io.
la prima volta che lo usate vi colpirà il sapore amaro e leggermente salato, e la consistenza fangosa della pasta. 
con tutta probabilità sul vostro viso comparirà una smorfia di disgusto e le vostre papille gustative cercheranno di prenotare un aereo per emigrare in bocche collegate a cervelli più ragionevoli.
le volte successive questa sensazione tenderà gradualmente ad attenuarsi, fino a che, verso il decimo giorno, non sentirete altro che il sapore normale del vostro dentifricio, e le vostre papille gustative saranno di nuovo felici di coabitare con il vostro cervello.
perché questo è il grande insegnamento del parodontax: ci si può abituare a qualsiasi cosa.