martedì 16 dicembre 2025

Piove.
Nel prato di fronte alle finestre di casa mia ci sono quattro caprioli.
Spesso i caprioli davanti a casa mia zampettano come, boh, dei caprioli, suppongo, ma oggi se ne stanno lì fermi, inginocchiati (non so se i caprioli abbiano le ginocchia, ma occhei, ci siamo capiti) a qualche metro di distanza uno dall’altro, tipo come se fossero in formazione, tipo boh, quelli inginocchiati per il minuto di silenzio che aspettano il fischio dell’arbitro.
Ho un fischietto, ma non vorrei disturbarli.
Comunque se ne stanno lì da un paio d’ore e, siccome piove, è il mio giorno libero e ho voglia di scrivere (in realtà vorrei scrivere anche a Irene e ad Alice, ma oh, una cosa alla volta), mi piace appuntarmeli così. In ogni caso non era la cosa principale che volevo scrivere.
In realtà volevo scrivere che, come immagino già saprete (dico "saprete" alla seconda plurale perchè, anche se scrivo per me, mi piace rivolgermi a dei lettori; non ho idea se esistano lettori qui, ma mi piace scrivere come se esistessero, e gli potessi dare del tu. Se poi siete Irene, o Alice, chiudiamo un cerchio) dicevo (scusate, dovreste anche sapere che mi perdo in parentesi, note, e quant’altro; diciamo che è una cifra stilistica) come già saprete sono un assiduo frequentatore di supermercati.
Non perché mi piacciano particolarmente i supermercati (mi piacciono molto di più gli aeroporti, ma non sono così assiduo come con i supermercati), è che spesso devo mangiare e bere, e mi servono anche altre cose, e dove abito io ci sono i caprioli, ma non i negozi, quindi uno va al supermercato (ci sono moltissimi supermercati, credo anche più dei caprioli, essenzialmente perché ci vengono gli svizzeri; che sicuramente sono più dei caprioli, ma credo anche più dei supermercati).
Insomma, stamattina ero al supermercato e quando sono uscito c’era questa ragazza con dei cani (in realtà anche quando sono entrato, solo che sono entrato un po’ di corsa e comunque stava parlando con un’altra persona, e non ho approfondito subito) e insomma, questa ragazza aveva una chitarra blu a tracolla (di quelle chitarre acustiche non amplificabili che andavano di moda parecchi anni fa (ne ho una anche io, ma non come la sua)) e una muta di cani (si chiama muta perché i cani non parlano, credo) fra cui alcuni canetti (nel senso di cani piccoli, non di elias) che indossavano dei cappottini tipo fatti a mano e altri due cani più grandi senza cappottino, e tutti erano legati con delle corde (corde, non guinzagli) al palo (nel senso, il loro collare, non loro direttamente) che sostiene la copertura che c’è davanti al supermercato (copertura che condivide con un negozio di una grande catena di multimedia e un negozio di boh, tutto quanto a prezzi modici gestito da cinesi, quindi una copertura piuttosto grande).
Che poi io dico “ragazza” ma, dato il freddo, aveva un cappello di lana calato sugli occhi, e una sciarpa, e aveva un’età indefinibile che poteva andare dai 25 ai 40, quindi boh, diciamo ragazza.
Comunque stava suonando (non cantava, suonava e basta, e direi degli accordi a caso, ma tanto la canzone non è importante ai fini del racconto) e quando mi ha visto uscire ha smesso di suonare e mi ha sorriso, quel tipico sorriso, non so se avete presente, di una persona che è rimasta sotto delle droghe bellissime e non si è mai ripresa.
Lo dico subito, a scanso di equivoci: è il tipo di sorriso che a me fa innamorare a prima vista (lo so, mi faccio intenerire da più o meno qualsiasi cosa, ma non credo sia un problema) e quindi non ho pensato le cose che probabilmente pensa una persona normale, tipo chiamare il sert, o la protezione animali, o il fatto che chi sorride così prima o poi ha un crollo emotivo (cosa che mi fa intenerire ancora di più, sia chiaro) e invece mi sono fermato.
E poi comunque quel tipo di sorriso l’ho visto anche in gente che non ha niente a che vedere con le droghe, dico le droghe così, per farmi capire. L’ho visto anche in gente molto spirituale (occhei, ho capito, allora diciamo droghe più tradizionali), e magari anche io a volte ho sorriso così, che ne so, mica mi vedo mentre sorrido, e insomma, tanti anni fa si vedeva più spesso, e invece adesso era un po’ che non ne vedevo uno.
Quindi, evidentemente sorpreso (i canetti erano un gruppo laocoontico, tutti intrecciati uno sopra l’laltro, mentre i due cani grandi erano un po’ di lato, ma tutti tranquilloni e apparentemente beati (bèccati questo, protezione animali)) ho chiesto:
“Ma quanti ne sono?” che non ho idea se sia una frase grammaticalmente corretta (di sicuro non si usa dove vivo io, ma a me piace usarla in presenza di gruppi di cose, animali o persone).
“Nove” ha risposto lei con il sorriso di cui sopra.
“E che ci fai con nove cani?” ho richiesto io, e la domanda avrebbe voluto essere nel senso “è strano vedere una ragazza con una chitarra e nove cani tutti insieme, è la prima volta che ti vedo qui ed è uno spettacolo bizzarro, ma anche molto bello da vedere nella sua improbabilità”, ma dovete capire che tutto si è svolto in tipo dieci secondi, e io faccio fatica ad articolare parole quando sono innamorato (e poi comunque invecchiando tutto è più commovente, non so se ci avete fatto caso, a volte mi sembra di avere 5 anni (non che questo sia un bene, è solo per dire che per certi versi più si invecchia più ci si sente bambini)), e lei non credo abbia capito tutto il sottotesto della domanda (magari sì, ma boh) quindi mi ha guardato e mi ha detto:
“Che ci faccio? Non lo so, sono dei cani”
E non so se questo dice qualcosa della sua stabilità mentale o meno (e neanche se dice qualcosa della mia, in effetti), ma io ho sorriso e le ho lasciato due euro, e fosse per me le avrei lasciato anche il ministero degli esteri e quello dell’interno (ma purtroppo non ne dispongo io) e forse anche le chiavi del governo del pianeta.
Perché se tutti fossimo come quella ragazza dei canetti, completamente sbarellati, fuori al freddo a suonare insieme a nove cani belli rilassati uno sopra l’altro, secondo me il pianeta sarebbe un posto migliore.
Poi probabilmente la nostra specie si estinguerebbe in un paio di decenni, ma comunque il pianeta sarebbe un posto migliore direi, anche in quel caso.

lunedì 8 settembre 2025

la luna, alle quattro e mezza del mattino, splende nel cielo limpido come una lampadina da 100 watt (esistono ancora i watt nelle lampadine? non sono aggiornato).
il lago ha assunto un colore argento che non vedevo da secoli (nonostante ormai mi alzi spesso alle quattro e mezza del mattino, ma per vedere questa cosa probabilmente si devono allineare i pianeti (oltre che la luna, ovviamente) la luce, il meteo, e le parentesi), e tutto è immerso in un silenzio che amplifica ogni tuo movimento.
è una fresca giornata di settembre, che per alcuni è il corrispettivo del lunedì per l’anno (ma non per me, dato che la mia turnazione ferie è quantomeno incostante e rapsodica) mentre io lo vivo perlopiù come l’anticamera del gelo quadrimestrale che ti paralizza i neuroni.
a volte, il mattino, mentre ancora sto cercando di provare a svegliarmi, o perlomeno trovare una ragione per farlo, mi ritrovo ad affrontare discussioni sui massimi sistemi (con me stesso, o con il gatto) o anche sui sistemi minimi, l’importante è che siano sistemi.
perché stiamo al mondo (per essere gentili, non vedo altro scopo plausibile), cosa possiamo fare nella vita (niente di utile, a parte essere gentili, dico), cos’è l’identità (nient’altro che una narrazione di alcuni neuroni che se la raccontano), cos'è la vita (un sistema lontano dall’equilibrio basato su modelli di retroazione), come funziona l’universo nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo (non ne ho idea).
sono tutte definizioni possibili, ovviamente, ma non del tutto soddisfacenti.
nel frattempo il tempo (una struttura emergente localmente, a seconda di velocità e massa) fa quello che deve fare, come tutte le cose che accadono.
non del tutto conseguentemente, a quanto pare.
gli atomi fluttuano, lo spazio vibra, e io sono qui, in un adesso molto personale.
certo, sarebbe meglio non lavorare, ma non è che si può avere tutto.
e questo è quanto, come diceva heisenberg.

mercoledì 18 dicembre 2024

Qual è la specie animale più intelligente del pianeta?
La risposta non è così scontata, e non è affatto detto che la domanda abbia senso. Ma noi filosofi siamo così, ci facciamo le domande più insensate, perché è sempre meglio che lavorare (io lo dico qui una volta sola, poi non ve lo dico più: “diffidate di un intellettuale che non abbia mai fatto l’operaio”).
Sembra chiaro che homo sapiens è attualmente la specie dominante sul pianeta (se escludiamo qualche virus e batterio particolarmente combattivo).
E se definiamo l’intelligenza la capacità di dominare il pianeta, è abbastanza ovvio che siamo la specie dominante, con buona pace dei virus. Ma non è affatto detto che dominare il pianeta sia sinonimo di intelligenza. Cioè, lo è, se intendi proclamarti la specie più intelligente del pianeta e quindi elimini tutte quelle che possano contraddirti. Non è così che definiamo l’intelligenza oggi (cioè, alcuni sì, in effetti, ma in genere non le persone che studiano queste cose).
Il problema di noi homo sapiens è che per millenni non siamo riusciti a trovare una definizione convincente di “intelligenza” (e questo già dovrebbe suggerirci qualcosa) e ormai si parla di diversi tipi di intelligenza (qualsiasi cosa questo voglia dire).
Tra l’altro ci siamo sforzati di non riconoscere agli altri animali alcun tipo di intelligenza (spesso nemmeno ad altri homo sapiens), perché sarebbe stato troppo frustrante ammettere che le specie che dominiamo sono più intelligenti di noi.
Storicamente quindi abbiamo misurato l’intelligenza con dei test che si riproponevano di replicare quello che facevamo noi homo sapiens e che gli altri animali non fanno spesso, tipo usare numeri, astrarre, associare forme, trovare simmetrie.
Che è un po’ come se i frigoriferi facessero dei test per vedere chi tiene meglio i cibi freddi e, sorpresa, vincessero i frigoriferi.
Per un po’ abbiamo creduto che la scala Wechsler o la Stanford–Binet potessero darci quella patina di superiorità rispetto agli altri animali, perché riuscivamo molto bene in quei test.
Poi però abbiamo inventato il computer, e ci siamo accorti che i computer fanno quei test molto meglio di noi, quindi abbiamo cambiato idea.
Oggi fra le definizioni possibili di intelligenza, le più comuni sono: la capacità di adattamento, la capacità di risolvere problemi, la capacità di imparare dall’esperienza.

Se definiamo l’intelligenza come adattamento, scopriamo che noi non ci siamo mai adattati al nostro ambiente, piuttosto lo abbiamo modificato.
Siamo adattivi, ma solo a patto di modificare le cose come stanno bene a noi (e non mi sembra una definizione ottima di adattamento).
Voglio dire (lo so che faccio sempre gli stessi esempi) i dinosauri hanno dominato il pianeta per 65 milioni di anni e poi con tutta probabilità li ha fregati il cambiamento climatico causato da un meteorite.
Noi dopo neanche duecentomila anni il cambiamento climatico ce lo stiamo fabbricando da soli. Se questo è adattarsi, parliamone.

Se definiamo l’intelligenza come risolvere problemi, scopriamo che ci sono specie animali che sono bravissime, anche a fare quello che facciamo noi.
Delfini, polpi, corvidi, hanno tutti dimostrato qualità sorprendenti nella risoluzione di problemi in laboratorio.
C’è un celebre esperimento in cui il ricercatore mette del cibo dentro un tubo trasparente in modo che il corvo non riesca a prenderlo, e lascia (in modo apparentemente causale) un piccolo bastoncino vicino al tubo.
Il corvo si fa due calcoli, poi prende con il becco il bastoncino e lo usa per spingere il cibo fuori dal tubo, finché non esce.
Poi, per una frazione di secondo guarda il ricercatore e pensa: “ma perché cazzo l’hai messo lì dentro, brutto imbecille?”, e si mangia il cibo.
Questo dimostra definitivamente che non siamo l’unica specie capace a risolvere problemi, ma siamo probabilmente l’unica specie capace a crearli.

Se definiamo l’intelligenza come capacità di imparare dall’esperienza, beh, anche qui abbiamo dei grossi problemi.
Perché per imparare impariamo, ma solo le cose che ci fanno comodo (esattamente come tutti gli altri animali). Tipo usare una forchetta (ci fa comodo, impariamo a usarla), non rompere i coglioni alla gente (non ci fa comodo, troppo difficile da imparare), costruire un aereo (ci fa comodo, impariamo), sterminare popolazioni più o meno inermi (niente, è complicato).

Una delle cose che mi ha sempre affascinato dell’intelligenza di homo sapiens, è che è esplorativa.
Siamo l’unica specie che ha trovato interessante provare a lasciare il pianeta, e questo è un fatto che mi riempie di meraviglia ed ammirazione (dico sul serio).
Ma non sono convinto sia un’idea particolarmente intelligente per alcuni motivi.
Il primo è che andare su un altro pianeta vuol dire che potresti pensare che il tuo non ti sia più utile, e non è mai una buona idea.
Il secondo è che devi arrivare su quel pianeta per primo, sennò sei il solito immigrato che ruba il lavoro agli altri, e può essere che ti trattino da schifo, anche se non hai fatto niente di male.
Il terzo è che farsi notare nell’universo, dove potenzialmente ci sono specie più intelligenti di noi (ma anche più bellicose) può non essere una buona idea sul lungo periodo.
È intellettualmente stimolante sapere che tu magari ti reputi molto importante, ma una specie più intelligente di te non è d’accordo su questo particolare.
Però c’è un’alta possibilità che sia uno stimolo intellettuale molto breve.

mercoledì 13 novembre 2024

al ventesimo giorno di antibiotico (tre diversi, non uno solo che sarebbe monotono) il mio cervello realizza che forse abbiamo un problema.
forse dovremmo smettere di affidarci a un medico di base, e cercare invece un medico di altezza.
se facessi le analisi del sangue in questo momento, mi troverebbero sicuramente più medicinali che alcolici e questo è il sintomo dell'avvenuta catastrofe.
non è questione di età, (il dente del giudizio che sta uscendo ed è virtualmente intoglibile se non da un ospedale sta lì a ricordarmi che sono giovane) è semplicemente il mio fisico che si sta sgretolando, pezzo dopo pezzo, e questo può diventare un problema perché già il cervello non era un granché.
ad ogni modo, sono fermamente contrario a questa dicotomia fra fisico e cervello (è tutto fisico, honey, non darti tutta questa importanza), è solo per capirci.
diciamo che c'è un processo irreversibile (che noi chiamiamo vita) che sta facendo il suo corso, ed è straordinario già così.
incidentalmente, un grumo di neuroni e recettori vari si è aggregato dando l'illusione di essere una coscienza.
un'illusione forte, indomita, permanente che serve a renderci funzionali.
in effetti funziona.
anche se non sono sicuro sia stata una buona idea

mercoledì 16 ottobre 2024

mi hanno diagnosticato un disturbo dello spettro autistico.
gli spettri autsistici sono dei fantasmi che ti svegliano tutte le notti allo stesso orario (sono abitudinari e affezionati a comportamenti ripetitivi) ma non riescono a comunicare, conversare e riconoscere le loro emozioni; una volta che ti hanno svegliato ti evitano e non cercano di stabilire un contatto.
i disturbi da spettro autistico sono molto complessi da risolvere, perché non si riesce a stabilire una relazione con lo spettro, e difficilmente smetterà di svegliarti.
nel frattempo, piove.
piove da tempo immemore, piove da secoli, piove da eoni, piove come se tutte le acque dei bacini lacuali (quelle piccole effusioni che ci si scambia in riva al lago) dovessero conquistare il mondo, lentamente ma inesorabilmente, più del denaro, più delle merci, più degli avverbi.
le rare volte che smette di piovere, parlo con i caprioli.
li osservo dalla finestra, l’altro inverno erano due, ora sono in tre, sbucano all’improvviso, la mattina, al limitare del prato, quando sanno che non ci sono cani in giro, e io li saluto sempre, e a volte gli sussurro cose.
non che i caprioli rispondano, in genere sono molto riservati, ma occhei.
essere riservati è una qualità che mi disturba solo per i tavoli dei ristoranti.

mercoledì 15 maggio 2024

sta succedendo tutto nella tua testa.
e questo, lo ammetterai, ha dei risvolti particolarmente interessanti.

mercoledì 7 febbraio 2024

io e il mostro stavamo cercando di aggiustare una connessione di rete fino a quando il mostro non ha fatto cadere la tastiera del pc rompendo il tasto spazio.
io ero molto contrariato perché, al limite, avrei rotto il tasto tempo. ma alla fine non è che possa sempre star lì a lamentarmi.
per rilassarmi ho provato a praticare le figure più importanti del tai chi antico: la ragazza che striglia il giaguaro, il bue muschiato che mette la pentola sul fuoco, l'elettricista che spinge il sondino.
da un po' di tempo il mio cervello riceve solo informazioni frammentate, come se fossero lampi di pochi secondi, e tutto il resto fosse un lungo e irreversibile coma vigile urbano.
quindi tutto quello che posso fare è cercare di focalizzare le mie sensazioni corporee, che quelle almeno sembrano funzionare bene. il cervello è molto sopravvalutato.
cioè, non ho niente contro il cervello, ha degli innegabili vantaggi, ma fa sempre un sacco di grandi casini.
ad esempio, continua a sostenere cose contro ogni evidenza. tipo il fatto che noi siamo molto diversi dagli animali, il fatto che esista un io fisso e immutabile, il fatto che lui non sia corporeo (ehi, honey, se non sei corporeo, spiegami il mal di testa).
ma insomma, alla fine è una scelta evolutiva opinabile, ma con cui bisogna fare i conti. compagni che sbagliano.
fuori fa molto freddo ma, come tutte le cose, non durerà.
a volte è una fortuna.