Campioni del mondo


Il primo vero ricordo che riesco a datare è una partita di calcio, e riesco a datarlo proprio perché era la finale dei mondiali. 
La mia autocoscienza praticamente nasce con i mondiali, e da allora, riesco a datare molto meglio un avvenimento se cade in un anno dei mondiali. 
Non è che tifassi per l’Italia (occhei, ero un bambino strano), mi piaceva proprio il mondiale di calcio come scenario generale, il fatto che un pianeta intero fosse impegnato a fare qualcosa insieme, e che ci fossero un sacco di nazioni esotiche di cui potevo imparare la capitale (occhei, abbiamo già stabilito che ero strano, passiamo ad altro, cortesemente) e che da grande avrei potuto visitare, avendo già imparato usi, costumi, e nomi dei giocatori più bravi. 
In retrospettiva, direi che mi piacesse il fatto che homo sapiens comprendesse di essere un semplice ospite del pianeta, e che ci si potesse impegnare a livello globale (ero anche molto ingenuo, oltre che strano). 
Con il tempo ho capito che le decisioni non si devono prendere a livello globale ma decidono sempre i più ricchi, che in quanto povero non avrei mai potuto visitare tutti quei paesi esotici, e che devi tifare sempre la tua nazione sperando che muoiano tutte le altre, sennò sei strano (ma ormai mi ci ero abituato, ad essere strano, quindi occhei). 

Da quel ricordo in poi, ho avuto una vita piuttosto caotica. 
O forse è solo che me la so raccontare in maniera caotica, e faccio fatica a incasellare le cose che vanno incasellate, o ricordare le cose giuste al momento giusto. 
Il mio unico punto fermo sono i mondiali di calcio, ed è curioso che mi venga in mente adesso, che non è un anno in cui ci saranno i mondiali di calcio, ma è un classico esempio di come mi vengono in mente le cose, troppo tardi per Russia 2018, troppo presto per Qatar 2022, niente che vada mai al suo posto. 
Però i mondiali di calcio, in questo caos che è la mia vita (o il ricordo della mia vita, che poi è la stessa cosa), funzionano da attrattore strano, e in qualche modo si finisce sempre che scandiscono il tempo in una curiosa scacchiera quadriennale, e quello che accade negli altri anni perde improvvisamente vividezza. 
Eccoli, allora, alcuni dei miei ricordi, esattamente per come li ricordo adesso. 
Dei primi mondiali che ho vissuto, i ricordi emergono come bolle di consapevolezza in un mare di buio, e paradossalmente sono quelli più chiari e nitidi. 
Da un certo punto in poi ho dovuto selezionare i ricordi, e ho scritto solo quelli più significativi, o quelli a cui sono più affezionato. 
Potrebbero esserci degli errori, non ho controllato niente, non ho fatto ricerche né consultato documenti, tutto è stampato solo nella mia memoria, potrebbe anche non esserci niente di vero, nel senso lato del termine, ma io mi fido molto della mia memoria. 
Non ho molto altro di cui fidarmi. 

Argentina 1978 
È il mio primo ricordo, in un certo senso la nascita dell’autocoscienza. 
Io, in piedi su una panchina fatta con delle pietre e appiccicata al muro esterno della sala giochi, arrivo giusto alla finestra per vedere un sacco di sedie con della gente sopra, e, in fondo alla sala, un piccolo televisore che trasmette la finale. 
La sala giochi è una casupola dietro i campi di bocce, in un villaggio turistico di Milano Marittima riservato ai carabinieri, la mia prima e unica vacanza con i miei genitori. 
Io come al solito sono da solo, e quando segna Kempes, nei supplementari, mi sento in dovere di correre ad avvertire un po’ tutti – ossia turisti che passavano di lì per caso – ricevendo, in genere, lodi e approvazione, perché quando un nano con i pantaloncini corti in giro da solo ti informa con entusiasmo sull’andamento della finale dei mondiali, le persone in vacanza non se la sentono di contrariarlo troppo. 
Ho quattro anni, odio il mare perché non so nuotare e non mi è permesso entrare in acqua (cioè, mi è permesso, ma solo fino alle caviglie, e solo tre ore dopo aver ingerito qualsiasi sostanza solida o liquida: dopo 2 ore e 59 mia madre mi dice di mangiare un biscotto e il cronometro si azzera), odio questa vacanza, ma quella cosa di Kempes non me la dimentico più. 
Finisce 3-1 per l’Argentina, il terzo gol non me lo ricordo, probabilmente stavo ancora correndo ad informare tutto il villaggio del secondo (era un villaggio grande). 
Di Videla, e tutto il resto, ho saputo solo molto più tardi. 

Spagna 1982 
È “il mondiale” per eccellenza. Non ce n’è mai stato uno prima, né ce ne sarà uno dopo, che sia anche lontanamente alla sua altezza. 
Noi bambini in cortile tifiamo Brasile, perché è la squadra più forte di tutte, senza discussioni, non c’è neanche bisogno delle figurine per saperlo. 
Brasile – Nuova Zelanda la vedo Treviglio, a casa di un bambino che ha il papà che vive in Brasile perché è divorziato da sua mamma. 
Questa cosa dei genitori divorziati me l’avevano venduta come una cosa orribile, che i figli di genitori divorziati erano creature mitologiche che soffrivano molto, ma a me sembra che lui se la passi bene. 
Il Brasile vince 4 a 0 ed è così superiore che praticamente secondo noi ha già vinto il mondiale, perché nessuna squadra è in grado di batterlo. 
Quando arriva Italia – Brasile sono in strada, con un amico, e stiamo tornando a casa con il pallone sottobraccio. 
Siamo convinti che il Brasile stia vincendo quattro a zero, e che noi saremmo stati eliminati. 
Salgo a casa e sono sinceramente stupito di constatare che stiamo sul 3-2 per noi. 
Gli ultimi cinque minuti sono un tormento (non sono mai stato bravo a gestire la tensione davanti a una tv). 
In casa ci sono ospiti, ma la tv è comunque accesa (un piccolo miracolo italiano) e si chiacchiera, e contemporaneamente si guarda la partita, ma quando Zoff salva sulla linea quel colpo di testa a pochi secondi dalla fine, per un attimo tutti tratteniamo il respiro. 
È l’ultimo ricordo che ho di mio padre a casa. 
Il primo tempo della finale dei mondiali la vedo da solo, in sala. 
Ho una piccola palletta, grande come un quarto di un supertele, e batto le punizioni da dietro il tavolo verso il calorifero sotto la finestra. Fra il calorifero e il muro c’è lo spazio adatto per immaginare una porta, con il davanzale a fare da traversa e il tavolo con le sedie a improvvisare una barriera da aggirare. 
Quando la palla colpisce la parte giusta, la stoffa pesante della tenda bianca ne attutisce il suono, e la deposita dolcemente verso terra. 
Allora posso esultare e tornare a prenderla, e magari dare un’occhiata dalla finestra alla casa al quarto piano del palazzo di fronte, che anche loro seguono la partita (probabilmente tutta Italia segue la partita, ma da quella finestra io vedo bene solo il loro balcone), e spio i lampi della loro tv perché forse non mi fido della mia. 
Mia madre torna a casa dopo l’intervallo, io ancora non mi capacito del rigore sbagliato e penso che tutto è perso per sempre, e invece accade quello che accade. Dodicesimo, ventiquattresimo, trentaseiesimo del secondo tempo. Un gol ogni 12 minuti (potete controllare, è esattamente quello che è successo). 
Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo. 
A fine partita esulto come tutta l’Italia. Beh, non proprio tutta. Mia madre è in bagno a lavare delle lenzuola nella vasca da bagno, e mi dice che non bisogna gridare così quando c’è la gente che muore in ospedale. Non dice “tuo padre” o “mio marito”, dice solo “la gente”. Mia madre non ha mai capito niente di calcio. Ma neanche della vita, credo. 
 Il giorno dopo si favoleggiava di persone che avevano fatto il bagno nella fontana del paese, e dopo un paio di giorni comparve una fiat 500 originariamente bianca, pitturata di verde sul lato sinistro e rosso sul lato destro. 
La rai, un giorno che miracolosamente ero davanti a un televisore, nella camera da letto di un mio amico nonché vicino di casa, trasmise un montaggio con tutti i gol dei mondiali, ma troppo veloce per capirci qualcosa. 
Ungheria – El Salvador non l’hanno messa nel montaggio, è stata la prima di una lunga serie di delusioni da parte del servizio pubblico. 

Messico 1986 
Italia – Argentina sono sul divano della sala di amici, e non mi spiego come Giovanni Galli non sia riuscito a prendere quel tiro di Maradona invece di scansarsi, ma occhei, non mi scompongo più di tanto. L’ho presa bene (al contrario suo). 
Dopo la delusione della partita di esordio contro la Bulgaria, non mi aspettavo poi molto. 
Dopo quella partita ho un vuoto totale perché da quel momento in poi, fino a dopo le semifinali, sono in un posto a Rocca di Papa dove è pieno di ragazzini della mia età, ma, com’era prevedibile, mancano televisori accessibili. 
Nel dormitorio ho un quadernetto con le partite stampate dove dovrei segnare il punteggio, ma spesso la sera non ho idea di cosa scrivere. 
Non mi permetto di inventare, che i mondiali sono una cosa seria. 
Mi sono perso il gol del secolo e la mano de dios, anche se poi ho rivisto tutto con replay e dovizia di particolari. 
Dai Castelli, devo raggiungere mia madre a Carbonia, dove è in visita ad alcuni lontani parenti.
Quindi, insieme a una dozzina di altri ragazzini e un adulto molto simpatico e un po’ pazzo, prendo un treno fino a Civitavecchia e mi imbarco per la Sardegna su una nave Tirrenia. 
I ragazzini sardi hanno fatto di tutto per mettermi a mio agio e hanno anche organizzato una colletta per pagarmi il biglietto, però abbiamo in tutto due cabine con un letto a castello ciascuna; il resto, passaggio ponte. 
Per un po’ provo l’ebbrezza di dormire con le gambe sollevate ad angolo retto e la testa incastrata nella porta del bagno, ma dopo un po’ mi arrendo e passo il resto del viaggio sul ponte. 
La finale la vedo a Carbonia, insieme a mia madre e quei lontani parenti che erano venuti a prendermi a Cagliari. 
C’è pasta con i frutti di mare, che a me non è mai piaciuta tantissimo, e a nessuno interessa la partita, ma sono tutti molto gentili e cucinano benissimo. 
La Germania Ovest va sotto due a zero, pareggia con un capolavoro di determinazione, tigna e tenacia, e poi, quando tutti pensavano ai supplementari, decide di suicidarsi lasciando una autobahn libera per Burruchaga. 

Italia 1990 
Quelle notti, di magico, non hanno decisamente niente. 
Sono finalmente cresciuto in altezza, ma il mio peso rimane più o meno quello di un bambino. 
Qualche mese prima avevamo comprato una tv nuova, la prima tv a colori. 
Ero riuscito a convincere mia madre mentre guardava un documentario in cui della lava grigia usciva da un vulcano nero, dovette ammettere che non era molto spettacolare, e probabilmente si inventò qualcosa per trovare i soldi. 
C’è la sensazione che stavolta possiamo vincere, ma non la sensazione di essere dentro la macchina organizzativa (succede, se lo stadio più vicino sta a due ore di treno), anche se si respira lo stesso quell’aria frizzante di vacanze ed entusiasmo. 
La partita inaugurale la vedo sul divano di un amico, impazzisco di gioia per il Camerun che batte l’Argentina, l’underdog che trionfa, Davide contro Golia, e invece l’Argentina alla fine sarebbe di nuovo arrivata in finale. 
La prima volta di un mondiale sul maxischermo in piazza, ci vedo Italia – Eire, mescolato fra la gente.
Un boato al gol di Schillaci (quegli occhi da spiritato sono il corollario all’euforia della folla, e del periodo storico: formalmente sono ancora gli anni ‘80) e però, insomma, vuoi mettere sul divano di casa tua, con qualche amico, e finalmente l’età giusta per bere una birra in santa pace. 
La semifinale credo di averla rimossa. Mi è rimasto solo, per qualche mese, quella sensazione che l’arbitro non fischiasse mai la fine perché sapesse già come andava a finire. 
Vedo la finale sul divano di casa, da solo. Di nuovo Germania – Argentina, e questa volta vince la Germania Ovest, con un rigore dubbio, nella finale più noiosa di tutta la storia delle finali. 
Forse era giusto così, avevamo appena visto crollare il muro, e stava davvero cambiando tutto. 
Ma, a saperlo prima, una finale così si poteva anche vedere in bianco e nero. 

Usa 1994 
Un’edizione strana sotto tutti i punti di vista. Il calcio, negli Stati Uniti, non si può proprio vedere.
Orari strani, tifo strano, niente che ricordi la sacralità del momento, nonostante l’onnipresente cartello “John 3:16”. 
È un’edizione strana anche per me. 
Vivo a Milano, in un pensionato universitario esclusivamente maschile, che pago con una borsa di studio. 
Dovrei studiare, e invece vedo tutte le partite nella sala tv comune, di fianco alla mensa. 
Torno a casa per le vacanze estive, e vedo le altre partite nella veranda di un amico, quasi sempre sul dondolo. 
Alla fine ho visto tutte le partite tranne due, curiosamente due dell’Italia: Italia – Messico, perché avevo da fare con una ragazza, e – non avrei mai pensato di poterlo dire prima – adesso le ragazze vengono prima dei mondiali (anche perché mondiali ce n’è uno ogni quattro anni, se continua così ragazze ce n’è una ogni dodici, dannazione). 
L’altra partita che non ho visto, è stata la finale. Avevo già stabilito che sarebbe stata una brutta partita (dopo anni di esperienza uno un’idea se la fa) ed ero praticamente sicuro che avremmo perso.
E poi con le ragazze non sta funzionando granché, quindi decido di scaricare la tensione in modo creativo. 
Ho una Renault 5 completamente scassata, la mia prima auto, pagata ben cinquecentomila lire. Non ha lo specchietto retrovisore (ho provato ad attaccarlo in tutti i modi, ma si stacca ogni volta che uno chiude la portiera) e neanche i tergicristalli, ma quello è il minore dei problemi, perché tanto con la pioggia non parte. Ho anche perso il vetro del finestrino posteriore destro, ma fortunatamente non si è rotto e l’ho riattaccato con lo scotch da pacchi. 
Prendo la mia R5, la chitarra, e vado in riva al lago a suonare, due ore di arpeggi nel mio posto preferito, difficile da raggiungere, anche se so benissimo che non sarebbe passato nessuno, neanche se fossi stato in bella vista. 
Torno dal mio amico qualche secondo dopo il rigore di Baggio, e sono ancora convinto di avere fatto la scelta giusta. 

Francia 1998 
Francia ’98 ha a che fare con i rigori, quella cosa di decidere tutto e subito in pochi attimi, prendersi la responsabilità di tirare il calcio di rigore. 
Ancora una volta rigori sbagliati, ancora una volta l’Italia torna a casa senza avere formalmente perso nei 90 minuti regolamentari, per la terza volta di fila, e questa cosa mi ricorda un po’ la mia vita, che sembra sempre che stia per svoltare, e invece alla fine c’è sempre qualcosa che ti rimanda a casa. 
Per la finale sono io da solo sul divano, a casa di mia madre. 
Fortunatamente in questo periodo dorme fuori perché si è inventata il lavoro di dama di compagnia di una signora ancora più anziana di lei. 
Sul tavolino mi sono preparato una bottiglia di coca e una di whisky da mescolare alla bisogna, qualche cubetto di ghiaccio, e un quintale di malinconia, di quella che ti prende senza sapere bene perché. 
Passo il tempo a guardare Zidane fare bene la cosa che gli riesce peggio: i colpi di testa (in senso letterale) e a pensare a un’amica lontana. 
Nel frattempo, ad ogni gol, Jacques Chirac esulta con la maglia n. 23 in mano. 
Sembra davvero la vittoria dell’integrazione, la prima volta della Francia, e poco importa se i francesi sono davvero la nazione più odiata d’Europa (o per lo meno così si dice in giro, e non credo che i francesi mediamente facciano molto per smentire la cosa), quella volta io davvero tifavo Francia.

Giappone Corea 2002 
Sono in riva al lago, tra il porto vecchio e l’imbarcadero, sotto un tendone, insieme a una quantità discretamente enorme di libri.
Tecnicamente è un’esposizione esterna di una libreria in cui lavoro come commesso per due mesi. 
In pratica è una specie di enorme gazebo di plastica che rischia di volare via al primo soffio di vento (non è così improbabile, in riva al lago) e quando piove e tempesta bisogna appendersi a un’estremità e tenerlo fermo da fuori, mentre tutta l’acqua ti scola dentro la maglietta. 
Sto leggendo la collana travellers della Feltrinelli (intendo proprio tutta la collana) quando attraccano due motoscafi e sbarcano una comitiva di croati con le maglie a scacchi. 
Appena toccano terra iniziano a scandire Hrva-tska! Hrva-tska! per circa cinque minuti. 
Prima che mi riabbia dalla sorpresa (di solito la cosa più strana sono le papere, verso le sei del pomeriggio, che passano di fianco al gazebo e tornano camminando verso il porto, starnazzando di tanto in tanto), sono già spariti in qualche via laterale. 
Non ho mai capito cosa diavolo ci facessero, lì, a quell’ora, visto che la partita con la Croazia sarebbe stata due giorni dopo (per la cronaca, 1-1). 
Italia – Sud Corea mi lascia una sensazione come di ingiustizia latente, che va bene che errare è umano, ma insomma, anche con tutta la comprensione del mondo, restano dei leggerissimi sospetti di malafede. 
Dopo Sud Corea – Spagna, ho capito che i mondiali non erano più la cosa sacra che avevo sempre creduto, e ho proprio lasciato perdere. 
Ho deciso di non vedere le semifinali e la finale. 
Per me il campione del mondo del 2002 resta il parrucchiere di Ronaldo: il centravanti più famoso del momento si presenta in campo con una acconciatura che riproduce un pube femminile, una perfetta illustrazione di quello che in genere i maschi hanno in testa. 

Germania 2006 
C’è una partita che non ho visto, ma che ricordo come se l’avessi vissuta. 
Italia – Ucraina, quarti di finale, inizia mentre sono su un banchina di Milano Rogoredo, che aspetto un Trenook (mi fa molto ridere perché ook è il verso del bibliotecario nei libri di Terry Pratchett) per Roma, mentre disquisisco con un amico via sms sulle qualità di Abbondanzieri. 
Il Treno Ok era un primo tentativo di far pagare poco la tratta Milano – Roma e però arrivare in tempi rapidi (rapidi per Trenitalia, dico, il che significa metterci un tempo variabile da 4 ore a “ora sei nostro prigioniero, preparati a morire qui dentro”) in tutto il vagone saremmo stati 6 o 7 (di cui almeno tre stranieri) ma, in pieno stereotipo italiano, uno aveva una radiolina, e teneva aggiornati gli altri, compatibilmente con il segnale radio, che pagava pegno all’orografia appenninica. 
L’altro ricordo non può essere che Fabio Grosso dopo il gol della semifinale. 
Ero seduto sul divano di amici, stavamo lì con il fiato sospeso e, per una volta, sentivamo davvero di meritarcela quella finale. 
Ricordo la corsa, come Tardelli nella finale dell’82, e quei lunghi due o tre minuti di apnea fino al gol di Del Piero. 
A dire tutta la verità, la cosa che più mi è rimasta impressa di Fabio Grosso in quel mondiale, è stato il telecronista Rai che, quando il difensore si sganciava dalla sua zona naturale di competenza per attaccare la fascia, insisteva con il dire: “sale Grosso” e per me era poesia pura. 

Sudafrica 2010 
Il 2010 è l’anno dell’inquinamento acustico. 
Io davvero non so perché i sudafricani insistessero con le vuvuzelas (uno strumento a fiato che imita un alveare di vespe incazzate a morte con l’intero universo) ma credo che non lo scoprirò mai. 
Italia – Slovacchia è la partita decisiva per il passaggio del girone, e io sono a un matrimonio in cui, fra le altre cose, fingo di parlare tedesco. 
Il ricevimento è in riva al lago, e mai una volta ho notizie della partita, ma alla fine non mi importa. 
È un bel matrimonio, e la nostra nazionale si è già capito come va a finire. 
Quando mi dicono il risultato non mi stupisco neanche tanto. 
La finale, sono sullo stesso divano su cui ho visto la semifinale Italia – Germania quattro anni prima.
Passeggio avanti e indietro per la sala, e non riesco a stare troppo fermo sul divano, perché obiettivamente è una bella partita, anche se stanno zero a zero. 
Comunque vada, sarà la prima volta per una nazione, Olanda o Spagna, e quando Robben sbaglia un gol già fatto siamo tutti lì ad aspettare i rigori. 
E invece alla fine segna Iniesta, e boh, io sono contento perché è uno che mi sta simpatico, e sotto la maglia porta la scritta “Dani Jarque siempre con nosostros”, che sul momento non l’ha capito nessuno cosa c’era scritto davvero, ma poi, dopo, con calma, mi sono venuti i brividi. 

Brasile 2014 
La partita decisiva per l’Italia, come al solito, è l’ultima del girone. 
Me la vedo a casa, ma si capisce da subito che qualcosa non funziona. Non soffriamo in difesa, ma l’attacco è inesistente. 
Nel secondo tempo l’arbitro espelle Marchisio per un’entrata da giallo, e non vede Suarez che decide di fare merenda con Chiellini (nel senso che lo scambia per una girella e ci affonda i denti come il più scafato degli Hannibal Lecter. Per l’arbitro, tutto regolare). 
Alla fine finisce come doveva finire, segna Godin di testa da palla ferma, l’unico modo in cui si poteva sbloccare una partita del genere. 
La partita più divertente, scoccia dirlo, è la semifinale Germania – Brasile. 
Sono seduto sul divano con Martinanavratilova Tuttoattaccato e Piccettino (che sarebbero i miei gatti, rispettivamente di 5 e 2 anni) ma alla fine del primo tempo sono già scivolato sul tappeto in preda ad un attonito stupore. 
I tedeschi sono i veri brasiliani, hanno una maglia rossa e nera identica a quella del Flamengo, e segnano con una facilità così impressionante che sembra di vedere un’amichevole fra una squadra vera e una dell’oratorio. 
Quando finisce il primo tempo la Germania sta vincendo cinque a zero, e la partita è già finita da un pezzo. 
Alla fine il tabellino dice 7-1, con il gol della bandiera dei brasiliani segnato quando la difesa tedesca sta già festeggiando sorbendo affettatamente caipirinha (l’unico che non la prende benissimo è Neuer, che giustamente si incazza come una bestia, che per un portiere 7-0 è sempre meglio di 7-1). 
La finale è la solita Germania - Argentina. La Germania vince, come forse è giusto che sia dopo una semifinale del genere, ma soffre fino ai supplementari, quando uno splendido gol di Götze decide la partita dopo che Higuain nel primo tempo regolamentare si è mangiato un gol come se stesse giocando scapoli ammogliati nel campetto dietro casa. 

Russia 2018 
I mondiali di Russia, visto che l’Italia non si è qualificata (per la prima volta dal 1958), non interessano quasi a nessuno. 
A me ovviamente interessano moltissimo, e quasi nessuno ne capisce il motivo (il motivo è che io non tifo per l’Italia, mi piace proprio il mondiale di calcio come scenario generale (occhei, sono rimasto un bambino strano). 
Ho una laurea cum laude in filosofia, ho insegnato ecdl, ho fatto l'impiegato di un ufficio tecnico per molti anni, e ho delle fondate capacità di astrazione e facilità di adattamento ai lavori di concetto.
Quindi ovviamente sono stato assunto come barista, in un posto a metà fra un bar di provincia e un centro anziani (che poi spesso sono la stessa cosa). 
Al bar c'è un televisore su cui passano le partite ma non è facilissimo seguire una partita mentre lavori in un bar, peraltro un bar dove nessuno guarda la partita. 
L’unica che suscita una media attenzione (ossia non così tanta attenzione da essere interessato al risultato finale, ma tanta abbastanza per dedicarle due o tre bestemmie) è la finale. 
Ovviamente tutti tifano Croazia, stante che i francesi sono il popolo più odiato della zona (ma probabilmente non solo nella nostra zona) e il livello di ignoranza è così alto che, se solo gliene fregasse qualcosa, probabilmente tiferebbero comunque la squadra con meno negri. 
Finisce 4-2 per la Francia, e a me un po’ dispiace perché la Croazia (o anche il Belgio, fermato in semifinale dalla Francia, e che avrebbe forse meritato qualcosa di più) sarebbe stata la sorpresona ideale per rendere un po’ meno amaro il fatto di aver visto poco o niente del mondiale.

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