martedì 29 giugno 2010

mi è stato chiesto perché la scienza non riesce a dimostrare l’esistenza degli ufi.

la frase ricorrente degli scienziati a proposito dell’esistenza degli ufi è: “se gli ufi sono tra noi, perché non li vediamo? perché non avvertiamo la loro presenza?”.

la risposta a queste domande non è difficile: è un classico bias cognitivo.

il fatto che gli scienziati non riescano a vedere gli ufi è il sintomo di un pregiudizio che permea la loro mappa mentale.

l’esempio classico che posso portare come argomentazione è che tutti i matematici e i fisici che conosco si sono rifiutati di parlare con karlovitz, il mio amico immaginario (un nano da giardino esperto di kung fu e meditazione zen).

ovviamente questo atteggiamento è incomprensibile: matematici e fisici non hanno difficoltà a usare nei loro calcoli numeri immaginari (ad esempio √-1 non può essere né positivo, né negativo, né uguale a 0, il che è un po’ problematico, se uno non ha bevuto abbastanza) per ottenere risultati pratici e concreti, mentre hanno problemi ad accettare l’esistenza degli amici immaginari. ciò dipende ovviamente da un’errata valutazione dei sistemi di credenze (che essenzialmente sono collezioni di mobili per stoviglie).

ciò significa che gli scienziati non possono fare altro che accettare la problematicità della scienza, così come i religiosi accettano la problematicità delle religioni, e i puffi accettano la problematicità della riproduzione avendo una singola femmina in un gruppo esteso di individui: è nella natura delle cose.

ciò non significa che la scienza non possa progredire, tenendo però conto dei limiti strutturali che la riguardano.

ad esempio, chiunque sia stato introdotto allo studio della meccanica quantistica sa che heisenberg sostiene che l’osservazione modifica lo stato del sistema (credo significhi che se sei nell’acceleratore del cern di ginevra e osservi un elettrone modifichi lo stato del sistema e ti trovi automaticamente, che so, in germania: questo aprirebbe nuove frontiere nella progettazione del teletrasporto).

tra le altre cose, recenti studi che personalmente sento di condividere hanno anche proposto di sostituire il paradosso di einstein-podolsky-rosen, noto come "azione istantanea a distanza di un sistema in un’area qualunque”, con il paradosso di khedira-podolsky-klose, noto come "azione istantanea ravvicinata in un’area inglese”.


4 commenti:

anonimo ha detto...


cacchio. io credo negli ufi.
quindi non sono scienziato.
ed è abbastanza probabile, visto che non riesco a capire cosa vuoi dire nella seconda parte del post!
Mi fai conoscere Karlovitz? Volgio presentargli Achille, il mio sonaglio giapponese...

e.l.e.n.a. ha detto...


da questi para dossi, tra l'altro, si evince chiaramente che se ti chiami podolsky, hai ottime possibilità di sparare un sacco di palle.

falcoincantato ha detto...

ma e' come la stele di rosetti??

essered ha detto...

io devo accettare le problematicità della masturbazione?