giovedì 25 luglio 2019

esercizi di stile
studio # 87
a letter to i.



la mia prima volta da solo fuori casa avevo sette anni, ho passato un mese nelle valli bergamasche, a casa di sconosciuti.
di quel periodo ricordo una tazza di legno, alcune immagini specifiche, e che una domenica ero in montagna con una decina di persone che non conoscevo, non stavo tanto bene, e tutti pensavano che facessi i capricci perché non volevo camminare. 
in realtà a me camminare piaceva già moltissimo, era proprio che stavo male, ma non c’era verso di convincerli, perché non avevo proprio idea di cosa avessi. allora un ragazzo gentile mi ha preso in spalla (tanto già all’epoca pesavo trenta chili con i sassi in tasca) ma dopo qualche metro gli ho chiesto se mi faceva scendere. mi sono messo a bordo sentiero e ho vomitato l’anima. dopo un minuto mi sentivo incredibilmente benissimo e ho ripreso a camminare felice, però tutti mi guardavano un po’ strano, e non ho mai capito se fossero sensi di colpa perché adesso era piuttosto evidente che prima stavo male, oppure erano stupiti che mi fosse passato così in fretta.
l’anno dopo ho passato due mesi vicino a genova, a casa di sconosciuti.
di quel periodo ricordo che nel doposcuola ho imparato a giocare a pallamano, che a volte prendevo l’autobus per tornare da scuola, e che c’erano le gang di ragazzetti che invadevano la piazza e si dividevano in chi tifava la juve e chi tifava la samp. nessuno tifava genoa, suppongo perché fosse da vecchi.
il mio primo lavoro estivo avevo quindici anni, ho passato un mese in toscana, vitto e alloggio compresi. quando alla fine mi hanno anche pagato ero molto sorpreso, a me tutto sommato bastava avere un posto in cui stare.
quindi da quando ho sette anni ho sempre pensato che infilarsi a dormire in casa di sconosciuti sia perfettamente normale, specie se questi non protestano.
del resto, non è che avessi bisogno di molto: un letto dove dormire, del cibo, di tanto in tanto (possibilmente non troppo di frequente) e dei libri da leggere.
quello che succede è che poi una volta che sei lì gli sconosciuti li puoi conoscere, anche se una volta andato via non li rivedrai mai più.
poi crescendo l’ho fatto moltissime altre volte, molto più consapevolmente; ho smesso quando ho iniziato ad avere una casa mia, un posto da chiamare casa (intendo proprio un luogo fisico, non solo geografico), e però ogni tanto mi manca quella sensazione, di infilarsi a casa di sconosciuti e scavarsi una nicchia ambientale senza dare troppo nell’occhio.
da bambino ogni tanto mi succedeva anche di dormire a casa di persone che conoscevo, ma non era del tutto uguale, perché mancava quella diffidenza iniziale con cui ti guardano le persone.
e anche nelle camerate con molti altri bambini, funziona in maniera diversa, perché ti stai inserendo in uno spazio che è comune, e devi contrattarlo con un sacco di gente, e quella è dinamica dei gruppi: più facile da capire, ma anche più fastidiosa da gestire.
invece infilarsi a casa di sconosciuti è qualcosa di molto più privato, e imprevedibile.
lo farei anche adesso, se non dovessi lavorare. cioè, lo farei anche per non dover lavorare, probabilmente.
quello che voglio dire è che diventare indipendenti è una cosa molto diversa da diventare adulti, anche se a prima vista le due cose si assomigliano molto.
e che per me è molto più facile capire cosa sta succedendo nella testa e nel fisico di un estraneo che capire quello che sta succedendo dentro di me, ma non è così destabilizzante come sembra.

martedì 2 luglio 2019

xx: buongiorno
io: buongiorno a lei
xx: il tempo assoluto non esiste, il tempo rallenta a seconda della velocità in cui si muove l’osservatore e in presenza di grandi masse.
io: sì, ovviamente possiamo misurare una durata, ma quella durata è relativa solo ad un punto di vista, quello che viene meno è il concetto di simultaneità: non esiste uno schema generale assoluto in cui si può stabilire se un fenomeno accade prima o dopo di un altro, in sistemi differenti
xx: infatti le equazioni fondamentali dell’universo non hanno bisogno della variabile tempo, funzionano benissimo senza.
io: in pratica il tempo è un fenomeno che emerge localmente solo in presenza di scambi di energia (il che appare intuitivo, uno scambio richiede tempo).
xx: uno scambio di energia produce calore, possiamo quindi dire che è il calore che causa l’irreversibilità di un fenomeno e fa emergere il tempo.
io: un altro fenomeno emergente in presenza di scambi di energia è quello che chiamiamo vita, un fenomeno che si sviluppa in sistemi caotici auto organizzantisi e lontani dall’equilibrio (cioè un fenomeno temporaneamente a entropia negativa), ed è il motivo per cui gli esseri viventi sono indissolubilmente legati al tempo.
xx: quindi non siamo altro che narrazione.
io: esattamente. se le cose accadono in sequenza, possiamo costruire una narrazione. ma questo non accade ad esempio con i fenomeni subatomici.
xx: è bizzarro.
io: decisamente.
xx: beh, buona giornata.
io: altrettanto a lei.

se c’è una cosa che amo, sono i discorsi da ascensore.
dopo il primo momento di imbarazzo, si finisce sempre a parlare del tempo