giovedì 19 maggio 2016

mercoledì mattina giro intorno al mercato officiando una cerimonia votiva in omaggio a una divinità identificata nella cultura locale come “nostra signora del parcheggio”.
devo ammettere, con scarsi risultati.
questo perché una preghiera non è altro che un algoritmo che ha scarsa presa sulla realtà e funziona solo nel proprio cervello. a volte nemmeno in quello.
invece gli algoritmi che hanno forte presa sulla realtà in genere vengono chiamati “scienza”, o “tecnologia”.
ciò non toglie che il desiderio di modificare la realtà sia innato in homo sapiens, specie quando non trova parcheggio, a prescindere dalla tecnologia che ha a disposizione per farlo.
se avete studiato nelle facoltà di filosofia o di psicologia, ora vi starete chiedendo cosa sia effettivamente la realtà, ponendovi le solite domande che hanno a che fare con l’ontologia e con l’esistenza del mondo esterno*. in pratica le domande a cui vi hanno abituato i professori delle vostre università e che, curiosamente, vengono sempre spiegate da gente che ha un reddito annuo pari a dieci il vostro.
le posizioni su cosa possa considerarsi reale (a parte la scala, il germano, e poco altro su cui i linguisti in genere concordano) sono molteplici e variegate.
alcuni gedankenexperiment (come i cervelli in una vasca, il duodeno in una doccia, la rotula in un tinello) sono volti a definire la natura problematica della realtà.
esiste una realtà esterna alla nostra mente? e nel caso esistesse, è possibile una realtà condivisa? (questa dovrebbe valere per i militari e i cambiavalute).
il professor alexander pernenbrod propende per una definizione forse poco elegante ma tecnicamente funzionale: se è indistinguibile dalla realtà, beh, allora è la realtà. fatevene una ragione.
inoltre, la realtà molto spesso è diversa da come ci appare (come vi dicevo prima, homo sapiens ha una tendenza innata a rifiutare la realtà; il che è utilissimo per la maggior parte dei suoi scopi, sia chiaro), ma questo è un altro discorso.
certo, queste informazioni vanno prese con le dovute cautele, altrimenti è un attimo ritrovarsi a cantare flower of scotland fuori dai pub, sdraiati su un muro**.

* se invece siete persone sane potete tranquillamente lasciar perdere la questione.
** io credo di poterlo fare, ma sto ancora attendendo uno studio scientifico che lo dimostri.

lunedì 9 maggio 2016

uno dei problemi più sentiti nell’epoca contemporanea dalle persone colte e sensibili ai drammi dei pianeta (dove per “persone colte sensibili ai drammi del pianeta” si intende ovviamente “io”), è il furto dei bidoncini dell’umido.
in genere funziona così: tu hai un bidoncino dell’umido (dove per “tu” si intende ovviamente “io”) e vivi felice e contento nel tuo universo dimenticato da dio e da tutte le altre divinità sane di mente, mentre i simpatici signori della raccolta differenziata vengono a ritirare l’umido due volte a settimana nei pressi del cancello di casa.
poi arriva la stagione turistica (dove per “stagione turistica” si intende “un paio di giorni di vacanza in cui non piove”) e migliaia di turisti di linguaggio e usanze più o meno compatibili con i tuoi si riversano nelle strade, e improvvisamente il bidoncino dell’umido sparisce.
la prima sparizione è durata una due giorni, e ho pensato che forse i bidoncini dell’umido hanno un festival, un raduno, un evento dedicato, o semplicemente a volte hanno bisogno di un po' di ferie.
la seconda sparizione, in concomitanza con un nuovo periodo turistico (una coincidenza? noi di voyager pensiamo di no) è durata una settimana.
solo che nel frattempo, a meno di non stare io al posto del bidoncino dell’umido (ci ho provato, ma è scomodo, specie quando piove), ho dovuto comprare un altro bidoncino dell’umido che, dannazione, viene 7 euri e 50 (occhei che vivo in posti dimenticati da dio, ma i supermercati esistono pure qui; e comunque ne era rimasto solo uno, rotto. ma l’ho preso lo stesso, per i motivi di cui sopra).
una settimana dopo il bidoncino dell’umido è ritornato dov’era, ligio al dovere come solo i bidoncini dell’umido sanno essere.
qualche tempo dopo, con l’avvento di una nuova stagione turistica, il bidoncino dell’umido sparisce per la terza  volta.
ora, come dicevo prima, nell’economia di una persona colta e sensibile ai drammi del pianeta, questo è un evento che tende a contrariarti (occhei, mai come trenitalia o poste italiane, ma insomma).
specie se ti era venuto in mente di scriverci sopra "non rubare mai mai mai mai, che poi muori, ho detto mai, no, neanche adesso, no, mai, insomma, come te lo devo dire maimaimai neanche per emergenza, neanche per sbaglio, che se lo rubi esplode il pianeta, immanentizzi l'eschaton, l'ecpirosi, il vaso di pandora, hai presente MAI, sennò ti cade in testa un pianoforte, sette anni di sfiga, le cavallette, milioni di cavallette? ecco. quello", ma poi non l’hai scritto, perché in fondo hai fiducia nel genere umano. e poi, diciamocelo, chi prenderebbe ordini da un bidoncino dell’umido?
lunedì scorso, dopo tre mesi di segregazione e isolamento in un posto sconosciuto (che potrebbe essere anche l’india, per quello che ne so io) quando il ponte del primo maggio è ormai volto al termine, ecco che finalmente il bidoncino dell’umido torna a casa.
quindi ho deciso di correre ai ripari.