venerdì 6 settembre 2019

diluvia.
la pioggia ha battuto incessantemente il tetto per tutta la notte, e il mattino ci ha regalato quella irresistibile sensazione di inverno che aleggia sulle nostre teste come un presagio di inevitabile sventura.
ci sono 14 gradi, gli animali stanno per prendere la via del sud (tranne quelli rimasti qui per i soliti overbooking) o del letargo, mentre homo sapiens sta pensando di accendere il camino (e questa è la prova che l’evoluzione si deve essere incasinata da qualche parte).
oggi è anche la giornata mondiale del disagio, giornata a cui noi filosofi partecipiamo sempre con grande entusiasmo (in realtà solo alcuni di noi. diciamo quelli che prendono seriamente il proprio lavoro di filosofi, mentre stanno pulendo i bagni dei locali pubblici dove lavorano).
la giornata mondiale del disagio capita a pennello per le persone che dovrebbero affrontare crescita e cambiamenti, ma non hanno idea di che direzione prendere.
il problema di noi filosofi è che crediamo che non sia importante avere tutte le risposte giuste, crediamo che sia più importante farsi le domande giuste. ma dobbiamo ammettere che abbiamo qualche problema con la definizione di “giusto”.
e siccome i limiti del linguaggio sono i limiti del nostro mondo, spesso ci inventiamo parole, e creiamo il nostro mondo, anche se abbiamo quel piccolo problema che non riusciamo a condividerlo, perché quando ognuno crea il suo mondo, poi è difficile mettersi d’accordo su quale usare.
e se non siamo mai sicuri di quello che vogliamo (no, non lo siamo), forse allora dovremmo vivere concentrati sul presente, sulle cose che accadono, e lasciare che tutto passi mentre noi siamo qui e ora.
questo ha alcune implicazioni filosofiche interessanti, tipo che è possibile scegliere (generalmente delle cose a caso, e del tutto sbagliate, che si capiranno solo dopo svariati anni quando verranno classificate con l’acuta espressione “senno di poi”, ma a quel punto le cose saranno già andate male) oppure non scegliere (le cose andranno male lo stesso, ma almeno non sarà colpa vostra).
alcuni filosofi sosterranno erroneamente che la non-scelta sia comunque una scelta. questa cosa è palesemente assurda per chiunque conosce la grammatica, ma anche come dimostra il già citato paradosso di kanchelwski, che vado brevemente ad illustrare.


bar, interno giorno.
tre uomini entrano e si siedono al tavolo. si avvicina il cameriere per prendere le ordinazioni.
uno prende una birra, uno prende una coca, il terzo dice per me niente, grazie.
il cameriere serve da bere, e porta il conto. 
quattro euro per la birra due euro e cinquanta per la coca, sedici euro per il terzo uomo che non ha preso niente.
ehi, ma io non ho ordinato! – protesta l’uomo.
a quel punto il cameriere (che è laureato in filosofia) fa notare che, tecnicamente, ha ordinato di non portare niente, e quindi è comunque un’ordinazione, e pertanto va pagata.
segue rissa e discesa agli inferi, là dove è pianto e stridore di bottiglie.


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