lunedì 3 novembre 2014

stavo guardando l’ultima puntata di superpollo contro superspugna* quando un messaggio in segreteria telefonica (in realtà non è una vera segreteria telefonica: è un app installata direttamente nel mesoencefalo che rilascia dopamina quando si accorge che sto cercando di ignorare delle cose inutili) mi avverte che devo uscire per la rituale cena di halloween.
per chi non lo sapesse, halloween è una trascrizione fonetica dell’originario medievale hello-win, un gioco di origine celtica che si svolgeva alla chiusura della stagione del lavoro nei campi.
durante hello-win le persone erano tenute a uscire di casa mascherate, e con alcuni dolciumi celati nelle tasche: come suggerisce il nome, per vincere bastava riconoscere qualcuno e salutarlo per primo usando il suo nome proprio; il vincitore acquisiva così il diritto di incamerare il contenuto delle tasche della persona riconosciuta.
il gioco, prima di degenerare nella forma corrotta che conosciamo ancora oggi, ha avuto per qualche anno un breve intermezzo a carattere violento, in cui chi vinceva aveva diritto di picchiare chi era stato riconosciuto. gli storici sono usi a riferirsi a quel periodo come il periodo di hello-spank.
l’usanza di hello-win non desta meraviglia negli antropologi culturali, dato che tutte le religioni del pianeta terra subiscono una spiccata fascinazione per il travestitismo (come sottolinea il professor vladimirko joseffson nel primo libro della trilogia sul divino “non hai ancora trovato dio? hai già guardato nell’armadio?” (ed. theoria).
io ignoro il mio splendido costume da toxoplasma (mi piace pensare controcorrente) e vado vestito normale (vabbè, normale, diciamo come al solito) però mangio due piatti di pizzoccheri nei quali effettivamente mi sembra di cogliere una manifestazione della divinità (e infatti vladimirko joseffson, nel secondo volume della trilogia “dio si nasconde in tutto il creato: timidezza o vergogna?”, sostiene che il divino si possa manifestare anche nei luoghi più impensati) poi torno a casa e mi ritiro nelle mie stanze a leggere un saggio sui suicidi creativi.
nei primi due capitoli ci sono la biografia di un nazionalista croato che nel 1993 ha cercato di inumarsi nella drina con una moto ante guerra e ante pavelic e quella di un baro olandese che nel 1948 si è volontariamente fatto venire un colpo apoplettico mentre stava perdendo una partita a poker su una nave da crociera al largo di dover, balzato agli onori della cronaca come “collasso nella manica”.

* non vi dico niente per non spoilerare

1 commento:

e.l.e.n.a. ha detto...

secondo me hai dimenticato il famigerato periodo hello-kitty ...